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lunedì 12 maggio 2014

Le mura ciclopiche del Lazio

Mura ciclopiche, poligonali, megalitiche, pelasgiche

Con le definizioni di mura poligonali, megalitiche o ciclopiche ci si riferisce a un ampio ventaglio di realizzazioni architettoniche dell’Italia antica, di cui ciascun aggettivo coglie uno degli aspetti che le caratterizzano: poligonali sono in genere i blocchi che le compongono, accostati a secco e montati a formare complesse geometrie, quasi architetture nell'architettura; megalitiche, in quanto composte di pietre di grandi dimensioni (dal greco mega, grande, e lithos, pietra); ciclopiche, poiché le eccezionali dimensioni chiamerebbero in causa i mitici Ciclopi, artigiani essi stessi giganteschi; e si potrebbe aggiungere l’ormai disusato nome di “pelasgiche”, a indicare il leggendario popolo dei Pelasgi, che soli, in quanto misteriosi e dalle lontane origini, avrebbero potuto introdurre una tecnica apparentemente tanto complessa e inusuale.


Segni (Roma) - Mura ciclopiche davanti Porta Maggiore.
Notare il taglio e l'incastro delle pietre

Il Lazio meridionale interno, pur non detenendo l’esclusiva di questi monumenti, diffusi altrove nel Lazio così come nelle regioni vicine, vanta un’altissima concentrazione di rocche megalitiche, alcune delle quali dall'eccezionale stato di conservazione. Una simile densità di testimonianze ha stimolato nei secoli la fantasia degli eruditi, che hanno ricondotto proprio a queste zone alcuni miti che la tradizione mancava di collocare con maggiore precisione.

Alatri - Porta Maggiore

Virgilio (Eneide, VIII, 320 ss.) narra dell’esilio di Saturno, detronizzato dal figlio Giove, nel Lazio, dove avrebbe diviso il potere con l’indigeno dio Giano e preso dimora in un castello vicino a quello del dio locale, inaugurando l’età dell’oro e i Saturnia regna per queste terre. Si ritiene siano invenzioni degli eruditi moderni la localizzazione della vicenda nel Lazio meridionale interno e l’attribuzione a Saturno della fondazione di Anagni, Alatri, Ferentino, Arpino e Atina, basata esclusivamente sull'idea dell’alta antichità delle mura. Alla tradizione saturnia gli stessi eruditi combinavano poi quella relativa ai Ciclopi, i giganti che già nell'antichità erano ritenuti gli autori delle rocche micenee (Pausania, Guida della Grecia, II, 16,5; 25, 8): l’antichissima tecnica sarebbe stata però portata sul suolo italiano dai Pelasgi, mitici abitatori primordiali della Grecia poi giunti sulle coste del Lazio e considerati fra l’altro progenitori degli Ernici (Macrobio, Saturnali, V, 18, 13 ss.).

Arpino - Porta ogivale

Del resto il fascino delle mura poligonali, a stridente contrasto con l’austera imponenza, non manca ancora oggi di evocare leggende di dei e giganti, di popoli mitici e di artefici straordinari. Il fenomeno delle mura poligonali centro-italiche appartiene ormai di diritto alla vasta e attualissima categoria dei “misteri” archeologici, accanto alle piramidi egiziane, a quelle mesoamericane, ai monoliti dell’isola di Pasqua, fino alle meraviglie perdute della Torre di Babele o del Colosso di Rodi; in questo panorama le grandi muraglie dell’Italia antica occupano un posto forse meno appariscente, costrette a competere con sorelle maggiori quali le muraglie micenee di Micene e Tirinto, o quelle incaiche di Machu Picchu e Cuzco: ma il loro fascino discreto attende solo di essere scoperto da un pubblico più vasto.
Come di consueto la scienza tenta tuttora di sfatare il mito dell’eccezionalità sovrumana di queste costruzioni, con le classiche argomentazioni per cui le grandi dimensioni dei blocchi non erano un ostacolo per artigiani che conoscevano i principi delle leve.


Il mito di Saturno, il dio fondatore di città

Spodestato e cacciato dall'Olimpo dal proprio figlio, il dio Saturno raggiunse le coste del Lazio attraverso il mare e, accolto dal dio Giano, fondò sul Campidoglio la mitica città di Saturnia. In essa raccolse le genti sparse sui monti e le istruì all'agricoltura e alla vita sociale organizzata, dando inizio all'età dell’oro, epoca di felicità ed abbondanza. Giunto al termine del suo compito di civilizzatore scomparve, ma gli uomini non dimenticarono di venerarlo e chiamarono in suo onore Latium (Lazio) la terra nella quale si era potuto nascondere (latere). 

Cori - Il triplice bastione

È difficile poter ricostruire la figura originaria del dio Saturno, il cui carattere più antico si è conservato nel falcetto, attributo che lo identificava come divinità dell’agricoltura, e nei saturnali, una delle feste più arcaiche di Roma che si svolgeva tra il 17 e il 21 dicembre. Durante le celebrazioni, che cadevano in un momento cruciale dell'anno agricolo, erano esorcizzati i demoni e capovolti i ruoli sociali: gli schiavi godevano di maggiore libertà e, serviti dai padroni, potevano astenersi dal lavoro.

Alla statua del dio venerata nel Foro Romano venivano infatti sciolti i compedes, caratteristici legacci che ne avvolgevano i piedi. L'ellenizzazione delle divinità romane ha portato ad identificare Saturno con il greco Crono. Il mito del dio italico si è così arricchito di nuovi elementi, da cui è stata generata la figura del re straniero che ha svolto il ruolo di eroe civilizzatore.

Ferentino - Porta sanguinaria

Nelle località del Lazio meridionale interessate dalla presenza di mura megalitiche, la fantasia degli eruditi locali non dovette affannarsi troppo a ricercarne i mitici costruttori. Che le loro origini fossero molto antiche è fuori di dubbio, quanto l’esigenza di credere che a lasciare quelle maestose tracce fosse stato un popolo venuto dal mare, come i Pelasgi (la cui identità si perde ancora nella leggenda), o figure possenti come i Ciclopi o addirittura un dio venuto da lontano.
L’attestazione più antica della leggenda di Saturno costruttore di città nel Lazio meridionale sembra risalire al Medioevo (XII secolo), quando lo scrittore benedettino Pietro Diacono, per nobilitare le origini di Atina, ricostruisce la fondazione saturnia della città, successiva a quella di Siponto, l’odierna Manfredonia. Il colto monaco traspone al contesto locale il mito narrato dalle fonti classiche sulla presenza nel Lazio del dio civilizzatore: gli Atinati eressero al proprio fondatore un sontuoso tempio, al cui interno si trovava addirittura il sepolcro che ne conteneva le spoglie.

Cori - La tessitura dei blocchi

La leggenda di Saturnus conditor ha avuto un’ampia diffusione già durante
l’Umanesimo (tanto da ricorrere anche nelle origini di Sutri), fino ad essere codificata nel ’600 nella celebre pentapoli saturnia riportata da Bernardino Clavelli. Lo storico di Arpino, portavoce dell’orgoglio campanilistico, rivendica per la città non solo una fondazione saturnia ma anche la presenza della tomba del dio, di cui sarebbero rimaste la lapide tombale, l’urna cineraria e le vestigia del sepolcro, identificato con un monumento funerario romano ancora oggi visibile fuori Porta dell’Arco. L’autore, tuttavia, non limita la fondazione divina alla sola Arpino, ma parla di una confederazione che legherebbe ad Atina e Arpino anche Alatri, Anagni ed Aquino: città che, oltre ad iniziare tutte con la lettera “A” - la prima degli alfabeti latino, greco, ebraico e caldeo - sarebbero anche accomunate proprio da monumenti “ciclopici”. Ad Anagni il mito si arricchì di nuova linfa nel corso del Settecento ad opera dello scrittore Alessandro De Magistris che, collocando la pentapoli in un'età aureala faceva risalire secondo i propri calcoli a tre secoli dopo il diluvio universale.

Montecassino - Interno Abbazia

A dimostrazione, poi, nella venerazione degli Anagnini, l’autore raccontava di un sontuoso tempio innalzato al dio e ne identificava arbitrariamente le vestigia nei noti Arcazzi, le grandiose arcate di età romana visibili nel centro storico.
Un pittoresco contributo alla questione fu offerto dalla colta studiosa romana Marianna Candidi Dionigi, che all'inizio dell'Ottocento pubblicò una serie di fascicoli riuniti poi sotto il nome di "Viaggi in alcune città del Lazio che diconsi fondate dal re Saturno". L’autrice, che ha corredato l'opera con suggestivi disegni, pur essendo interessata ai resti in "opera Ciclopea" presenti in molte città del Lazio, dichiara subito la propria intenzione di concentrarsi su quei luoghi accomunati dalla leggenda della fondazione di Saturno. Ad incuriosirla particolarmente sono alcune figure a bassorilievo sui blocchi delle mura di Alatri, tra cui una che mostrava nella mano destra "simboli rustici", interpretati come segni del "dio degli Orti", e tre simboli fallici, tuttora visibili sull'architrave di una posterula dell'acropoli di Alatri, ancora riconducibili al dio dell’agricoltura.

Norba - Porta maggiore

L'elemento fallico ricorre pure sulle fortificazioni di Ferentino, cittadina che per le sue "mura antichissime" suggestiona a tal punto la Dionigi da farle intraprendere il viaggio nelle altre città saturnie. A dipanare l’intreccio tra mito ed erudizione interviene, già nei primi decenni del 1800, il rigore terminologico degli studiosi dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica che preferiscono ai desueti termini ciclopeo e pelasgico il più corretto "poligonio" e dichiarano ormai superato il tempo delle "città del re Saturno".


La scoperta delle mura poligonali: archeologi e viaggiatori

Nella pratica del viaggio tra Settecento e Ottocento le mura ciclopiche, come di solito sono chiamati in quel periodo i resti di fortificazioni del sistema insediativo preromano e romano, diventano mete molto ricercate in Italia e più in generale nel bacino mediterraneo. 

Segni - Porta saracena - Stampa ottocentesca

Coloro che provano uno spiccato interesse per le antichità e i giovani d’alto rango che vengono spinti dalle loro famiglie e dai loro precettori a compiere un viaggio di formazione nel nostro paese non sono attratti soltanto dai grandi centri come Roma, Venezia, Firenze o Napoli, bensì attraversano vasti territori con percorsi ben studiati, quasi mai pensati con finalità di mero trasferimento. Nei loro spostamenti extraurbani inseriscono altre mete, spesso determinate dall'interesse crescente per gli elementi naturali più spettacolari del paesaggio, per i costumi rurali e ovviamente per le antichità in genere.

Edward Lear (Londra, 1812 - Sanremo, 1888) - Monte Circello 1846

Il Lazio meridionale si presta molto bene a questa tipologia di viaggi a 360 gradi. Gli elementi naturali più ricercati sono le cascate di Isola Liri (Isola di Sora), la voragine carsica di Pozzo d'Antullo e le grotte di Collepardo (dei Bambocci). I viaggiatori che si dedicano anche al disegno e alla pittura affrontano spesso il soggetto dei costumi contadini, che allora apparivano esotici e ancestrali. Una ricca testimonianza dell’interesse per il folklore laziale è conservata nel Museo Hebert di Parigi, in cui sono raccolte diverse scene di vita rurale e ritratti di donne contadine, come ad esempio quelle di Alvito. Per quanto attiene le antichità, agli inizi dell’800 le mura poligonali del Lazio sollecitano l’attenzione di molti tra i più attivi ed appassionati viaggiatori, topografi, antiquari e vedutisti, specialmente stranieri.

Edward Dodwell (Dublino, 1767 - Roma, 1832) - Subterraneous gate at Alatrium

A tal riguardo si possono ricordare alcuni nomi assai noti come Petit-Radel, Edward Dodwell, William Gell, Ferdinand Gregorovius, ed altri che intrattenevano stretti rapporti con questo gruppo principale negli incontri che si svolgevano nei salotti romani.
Nell'Ottocento si è entrati ormai da tempo nella fase in cui i viaggi sono mirati non più soltanto ad una conoscenza complessiva del Paese visitato, ma a una sorta di turismo a tema ante litteram, legato anche alla moda del neoclassicismo. In particolare Dodwell e Gell, che nel corso di viaggi precedenti avevano approfondito il tema della presenza di monumenti ciclopici in Grecia e in Asia Minore, adesso ne cercano altre testimonianze in Italia, nei territori dello Stato Pontificio e di Terra di Lavoro. 

Edward Dodwell (Dublino, 1767 - Roma, 1832) - Remains of a temple in Signia

Louis Petit-Radel, che studia nel Lazio il Circeo, Fondi, Segni, Alatri, Ferentino, Arpino, è tra i primi ad approfondire il tema contribuendo con i materiali raccolti a creare un fondo specifico nella biblioteca-museo del cardinale Mazarino a Parigi. Prima di tutto si osserva, in questi antiquari, uno spiccato interesse per le tecniche costruttive utilizzate in queste opere murarie, interesse testimoniato, ad esempio, dall'esperienza di Dodwell che si fa sempre accompagnare nelle sue escursioni nel Lazio dall'allora giovanissimo architetto dello Stato Pontificio Virginio Vespignani. I risultati delle loro osservazioni sono conservati presso il Sir John Soane’s Museum di Londra. È interessante ricordare che il viaggio di cultura fa parte anche dell’esperienza personale di donne viaggiatrici che concentrano la loro attenzione non tanto sul piano tecnico, ma sugli aspetti paesaggistici. 

Edward Dodwell (Dublino, 1767 - Roma, 1832) - Bastion of Norba

Le mura poligonali furono l’oggetto della curiosità e dello studio di Marianna Candidi Dionigi, che nei primi anni dell'Ottocento pubblica una raccolta di disegni e note, sotto forma di corrispondenza, dal titolo signiicativo "Viaggi in alcune città del Lazio che diconsi fondate dal re Saturno". I centri visitati sono Ferentino, Anagni, Alatri, Arpino e Atina. In una delle sue lettere emergono la consuetudine esistente tra questi viaggiatori – in particolare con Dodwell, "quale inaspettata sorpresa è stata per me la venuta qui in Ferentino del sig. Doduel dopo il suo viaggio fatto nella Grecia!" – e il loro comune interesse per le mura poligonali. Mentre si intrattiene a dipingere la porta della cittadella di Ferentino, Marianna viene distolta dalla voce del Dodwell che così le si rivolge "come voi, Signora, vi dilettate di rintracciare le più remote antichità del Lazio, come io dalla Grecia" (V lettera da Ferentino).

Edward Dodwell (Dublino, 1767 - Roma, 1832) - Walls of Circaei

Dello stesso ambiente fa parte la contessa Augusta di Coventry, che fu introdotta alla conoscenza delle mura poligonali di Atina da William Gell che aveva accompagnato Dodwell nei suoi viaggi in Grecia. Il viaggio nel Lazio meridionale, lungo il percorso delle mura poligonali, non doveva essere molto confortevole. La mancanza di locande adeguate costringeva spesso il viaggiatore ad usufruire dell’ospitalità in abitazioni private. Veniva attivata per questo scopo una rete di amicizie e di conoscenze per cercare la sistemazione più confortevole, con riguardo al ceto sociale del viaggiatore e soprattutto se si trattava di una viaggiatrice.

Edward Dodwell (Dublino, 1767 - Roma, 1832) - Subterraneous gate at Signia

L’arrivo di Milady Durhunt in Atina viene preannunciato con la richiesta di ospitalità da parte di Giacomo Zuccari, console presso la S. Sede. "Milady si tratterrà 2 giorni, quanti bastano per vedere quanto c’è di interessante in Atina" e proseguirà il suo viaggio per l’Isola (di Sora). La Durhunt "porta con se la sua figlia, una cameriera, il capitano Scott, inglese, un maestro di casa, un cuoco, un servitore, e due palafrenieri che hanno cura di cinque cavalli" (Archivio Famiglia Visocchi, Atina, busta 166, fasc. 29).
Sulla base delle esperienze dei viaggiatori ottocenteschi e dei loro resoconti, corredati spesso da prezioso materiale iconografico, è possibile ricostruire un circuito di fruizione delle mura poligonali assai rappresentativo, la percezione del fenomeno e i primi tentativi d'interpretazione. L'intensità delle emozioni provate dai viaggiatori dell'Ottocento è ben compendiata dal noto brano di Gregorovius relativo alla visita ad Alatri del 1857: "Allorquando mi trovai dinanzi a quella nera costruzione titanica [l'Acropoli di Alatri], conservata in ottimo stato, quasi non contasse secoli e secoli, ma soltanto anni, provai un'ammirazione per la forza umana assai maggiore di quella che mi aveva ispirato la vista del Colosseo... una razza che poté costruire tali mura, doveva già possedere un’importante cultura e leggi ordinate".

Edward Dodwell (Dublino, 1767 - Roma, 1832) - Great gate of Alatrium

Nel concludere queste brevi note sulla scoperta delle mura poligonali da parte dei viaggiatori tra Sette e Ottocento è opportuno far notare al turista culturale la duplice valenza attuale della letteratura di viaggio. Essa viene utilizzata, da una parte, come fonte geo-storica, in quanto consente di ricostruire molti elementi del paesaggio che attorniava questi siti archeologici, elementi che oggi sono stati spesso stravolti se non obliterati dal processo di urbanizzazione e industrializzazione del territorio. Dall’altra, i testi odeporici possono fornire una base di partenza per impostare degli itinerari moderni di fruizione dei beni culturali. Il visitatore, se adeguatamente sollecitato e guidato, può ripercorrere gli stessi spostamenti che prima di lui furono effettuati dai viaggiatori più celebri. Inoltre, con progetti mirati alla fruizione dei beni culturali attraverso il ricorso alle nuove tecnologie, si ricostruiscono nei punti di visita o con tecnologie mobile, i "paesaggi virtuali", cioè gli scenari e i contesti in cui le mura poligonali si presentavano in passato. Il turista viene in questo modo messo in contatto con le emozioni e la sensibilità dei viaggiatori del Grand Tour che tanto hanno contribuito alla formazione di una coscienza e di una cultura europea.


Il fenomeno delle mura poligonali nel Mediterraneo e nell'Italia antica

La realizzazione di muri in grandi blocchi di pietra, accostati senza l’uso di malta o altri leganti, non è esclusiva dell’Italia antica. A questa definizione corrispondono infatti innumerevoli costruzioni nei più diversi angoli del globo, fino ai giorni nostri: dai grandi monumenti ai più usuali muretti a secco realizzati per spietrare e terrazzare i fianchi delle colline.

Norba - Intra Moenia - Acropoli e asse est-ovest

Nell'ambito di questa, che appare come una delle più naturali e semplici tecniche costruttive, emergono alcune colossali opere architettoniche: mura alte e spesse, caratterizzate dalla grande dimensione dei blocchi, dalla pendenza delle pareti esterne ("scarpa"), dall'accurata tessitura del paramento e dal sistema di drenaggio interno, destinati a garantirne la tenuta, compaiono in diversi momenti della storia dell'uomo, laddove le caratteristiche geologiche del terreno e delle pietre disponibili, le esigenze urbanistiche e difensive e le capacità tecniche e organizzative delle popolazioni insediate in ciascun luogo ne hanno stimolato e consentito la costruzione: così nell'America precolombiana e nella Grecia micenea, ma anche nella Sardegna nuragica, nelle Baleari, a Malta, o ancora nella Troia omerica, solo per citare alcuni esempi.

Ferentino - Posterula detta Porta pentagonale


È però del tutto fuori luogo spiegare le indubbie somiglianze tecniche fra monumenti diversissimi e lontanissimi nello spazio e nel tempo ipotizzando impossibili rapporti diretti: le somiglianze apparenti andranno spiegate piuttosto con analoghe esigenze difensive e con i materiali disponibili nei differenti luoghi. Non è invece da escludere, e anzi è assai probabile, che fra l’età arcaica e il periodo ellenistico (VII-I secolo a.C.) sia esistita nel bacino mediterraneo, in questo come in molti altri campi della conoscenza e delle tecniche, una circolazione di competenze e di artigiani itineranti che può aver innescato mutamenti di abitudine e innovazioni nelle prassi costruttive. Se la presenza di artigiani etruschi e greci a Roma già a partire dal VI secolo a.C. è accertata da testimonianze scritte, i dati archeologici fanno immaginare una circolazione di merci e maestranze ben più ampia e continua anche nel resto d’Italia.

Veroli - Il criptoportico

Queste considerazioni permettono però solo in parte di spiegare perché nel Lazio meridionale, in questo stesso orizzonte cronologico, la tecnica muraria poligonale si sia sviluppata con tanta ampiezza, lasciando segni profondi nell'immagine del territorio. Uno sguardo all'intera fascia appenninica centroitalica mostra infatti che nel corso degli stessi secoli il territorio si era andato articolando intorno a centri fortificati d’altura, dotati di mura dalla duplice funzione di terrazzamento e difesa, poste nei punti nevralgici del pendio sottostante le posizioni elevate da proteggere.

Sezze - Lungo Via Fanfara

Censimenti condotti, ad esempio, nell’area sannitica hanno permesso di individuare una itta rete di centri di questo tipo, e una simile distribuzione di siti d’altura posti a vista l’uno dell’altro, a controllo del territorio, è stata ipotizzata per l’epoca preromana anche per il Lazio meridionale interno – coincidente grosso modo con la provincia di Frosinone. La prevalenza di terreni calcarei in buona parte di questo territorio – a differenza di quanto avviene nell'area romana, in quella etrusca e in quella campana, caratterizzate da terreni tufacei di origine vulcanica – fu poi certo di ulteriore stimolo nello sviluppo della tecnica poligonale.

Segni - La Porta Saracena

La rapida conquista di queste regioni centroitaliche nel corso del IV e del III secolo a.C. da parte di Roma provocò l’abbandono di molti centri d’altura, talvolta rioccupati soltanto nel Medioevo. Numerose città sopravvissero, però, sia pure costrette al ruolo di colonie popolate di cittadini dotati di diritti limitati (simili a quelli degli antichi abitatori delle città vicine a Roma), oppure di città soggette al controllo diretto di Roma ("prefetture"), o ancora, nella migliore delle ipotesi, di città libere di amministrarsi, ma soggette a tributi in beni e in guerrieri a favore di Roma. L’assetto del territorio basso-laziale stabilito in quest’epoca era destinato a durare con poche scosse – brevi rivolte
sedate nel sangue, tentativi di riforme e conferimenti della cittadinanza romana concessi con grande parsimonia – fino alla cosiddetta Guerra Sociale (90 a.C.): la guerra delle città italiche (i cosiddetti socii italici) contro Roma, che sortì paradossalmente il desiderato effetto di estendere la cittadinanza romana a tutti gli Italici.

San Felice Circeo - Acropoli angolo sud-ovest

In tutto questo periodo Roma, lontana dall'idea di sguarnire e smantellare le fortificazioni delle città ormai soggette o forzatamente alleate, dovette invece stimolare e sostenere l’ammodernamento e il rafforzamento delle loro difese, o addirittura la creazione ex novo di mura. Queste sarebbero state ormai rivolte non più alla difesa contro Roma, ma al consolidamento di un articolato sistema di controllo del territorio a Nord del Garigliano e dei monti del Sannio, lungo le vie di penetrazione che da allora Roma avrebbe usato per la conquista dell’Italia meridionale – la via Appia alle pendici delle montagne verso la costa, e la via Latina nell'interno – e di difesa dei porti lungo la costa laziale, essenziali per l'approvvigionamento di Roma stessa.

Segni - Basamento del Tempio

L’imponenza e la qualità tecnica delle mura costruite in questa fase sono però anche lo specchio della crescente prosperità delle comunità italiche: sotto l'ombra di Roma, e ad essa sempre più legate da vincoli di reciproca convenienza strategica ed economica, le città dell’Italia centro-meridionale si affacciarono sullo scacchiere prima italiano, poi mediterraneo a seguito e talvolta precedendo le conquiste romane, creando una fitta rete mercantile che faceva capo, da un lato, ai porti della penisola italiana, dall'altro a quelli del Mediterraneo orientale.

Alatri - Il Pizzo Pizzale

Gli Italici divennero così il tramite dei commerci delle élites romane, che in tal modo aggiravano un'antica proibizione di esercitare il commercio legata all'idea della preminenza della proprietà fondiaria, anacronistica, ma ancora a lungo vigente. I notabili locali, arricchitisi anch'essi per queste vie, restituirono alle loro comunità d'origine parte dei proventi delle loro attività finanziando monumenti sacri così come opere pubbliche: non solo i grandi santuari che sorsero in molti centri in questa fase, ma anche, con ogni verosimiglianza, mura e porte cittadine, che venivano percepite come una vera e propria immagine pubblica delle città stesse.
È in questa prospettiva che vanno dunque comprese la fioritura di grandi circuiti murari poligonali, non limitata all'attuale provincia di Frosinone ma estesa anche al resto del Lazio, e il miglioramento e la persistenza di tale tecnica, nelle sue diverse varianti e con applicazioni non soltanto difensive, fino alle soglie del I secolo a.C.: da un lato si trattò della prosecuzione di una tradizione costruttiva presente nell'Italia centrale già in epoca preromana; dall'altro, decisivo fu con ogni probabilità lo stimolo, proveniente da Roma, a consolidare le proprie difese, a cui si aggiunsero migliorie tecniche via via provenienti da sviluppi interni o dal contatto con altre aree dell'Italia e del Mediterraneo, attraverso la circolazione di mercanti e maestranze.

Alatri - La Porta minore o dei falli

Infine, i presupposti per le imprese edilizie furono assicurati dalla grande fioritura economica dell’Italia centromeridionale in quest’epoca.
La concentrazione di murature poligonali che si riscontra nel Lazio non ha confronti con altre parti d’Italia. Alatri, Arpino, Atina, Cassino, Ferentino, Sora, Veroli nel territorio corrispondente all'attuale provincia di Frosinone, ma anche Segni e Palestrina nell'interno, Cori, Norba, Circeii, Terracina e Fondi sulle pendici dei monti Lepini e sulla costa, ne sono gli esempi più celebri. Ma c’è di più: la stessa tecnica muraria, nella sua forma più evoluta, trovò applicazione in centri estranei al Lazio, che ricevettero splendide cinte murarie fatte di grandi blocchi ben lisciati e perfettamente combacianti. Tale fenomeno ebbe inizio non prima dell’avanzato IV secolo e interessò città come Alba Fucens, nell'Aquilano, Amelia in Umbria, Cosa e la vicina Orbetello nella Toscana meridionale costiera e Lucca nella parte settentrionale della stessa regione. Sebbene la datazione di alcune di queste cinte murarie sia tuttora incerta, è stata più volte rilevata la coincidenza che la maggioranza di questi centri ebbe il ruolo di colonia latina: Alba fu fondata nel 304-303 a.C. (contemporaneamente a Sora), Cosa nel 273 a.C., Lucca nel 180 a.C.
Si è così ipotizzato che l’adozione di questo tipo di muratura, sia pure favorita dalla posizione su rupi calcaree o presso cave di tale materiale, possa essere in relazione con la presenza di coloni provenienti dalle città del Lazio meridionale, in cui questa tecnica era già consolidata: una sorta di firma dell'identità dei coloni. Che l’adozione di questa tecnica fosse presto divenuta un motivo legato alle tradizioni locali delle genti del Lazio, e degli Italici dell’Appennino in genere, appare del resto confermato sia dalla sua persistenza nel tempo – la troviamo impiegata ancora alle soglie del I secolo a.C. – sia da una curiosa circostanza: si è solo recentemente notato come in alcune località prive di cave calcaree, a Colle Noce presso Segni, ma anche sui Colli Albani e nell'antica città latina di Gabii, alle porte di Roma sulla Prenestina, si siano realizzate murature poligonali addirittura in blocchi di tufo. In genere quest'ultimo, data la facilità di taglio, si squadra in blocchi parallelepipedi.

Alatri - I Santuari

La scelta di adottare anche qui la tecnica poligonale non potrà dunque essere frutto del caso, ma piuttosto della volontà precisa di rifarsi a una tradizione edilizia percepita ormai come tipicamente latino-italica.
A partire dal II secolo a.C. la tecnica poligonale fu affiancata e poi progressivamente soppiantata dalla cosiddetta opera cementizia, contenente calce, sabbia e pozzolana miste a schegge di pietra e laterizi e rivestita da paramenti a blocchetti di pietra di piccole dimensioni – più tardi da cortine di mattoni – che aveva l’indubbio vantaggio di combinare solidità, rapidità d’esecuzione ed economicità: ma ancora intorno al 100 a.C., se non oltre, troviamo utilizzata l’antica tecnica, sia isolata, sia affiancata alla tecnica a blocchi parallelepipedi o alla nuova opera cementizia, di cui talvolta fa addirittura da rivestimento. Così avviene nel santuario sannitico di Pietrabbondante in Molise, centro religioso della rivolta culminata nella Guerra Sociale, come anche nei basamenti di numerose ville appartenute alle grandi famiglie laziali del tempo, simboleggiate per noi dagli arpinati Mario e Cicerone, e orgogliose delle loro radici locali.


Le murature poligonali: la tecnica e i suoi inganni

Il quadro storico tracciato rimane largamente ipotetico, in considerazione della scarsità di fonti scritte disponibili sul mondo italico, quasi sempre in ombra negli scrittori greci e latini rispetto alla centralità di Roma.
Certo esso non è sufficiente a fornire appigli sicuri per l'inquadramento cronologico delle mura. Del resto, anche l’analisi tecnica dei monumenti si è rivelata nel corso del tempo strumento insufficiente allo scopo, se considerata isolatamente. Sempre più la ricerca degli ultimi decenni ha mostrato come gli schemi basati su una presunta evoluzione lineare delle tecniche costruttive non reggano a verifiche storiche e archeologiche.


Ferentino

Se la vulgata scaturita dagli scritti di viaggiatori e archeologi del Settecento e dell’Ottocento aveva portato, sulla sola base del generico aspetto arcaico delle mura, a proporre datazioni antichissime, del tutto prive di fondamento, la tradizione di studi più solidamente ancorata nell'analisi tecnica dei monumenti culminò intorno alla metà del secolo passato nei lavori riassuntivi di Giuseppe Lugli, che propose il più fortunato e duraturo degli schemi di classificazione delle mura poligonali. Secondo Lugli, che sistematizzò numerose proposte precedenti, si possono osservare quattro maniere costruttive: la prima, caratterizzata da blocchi informi o appena sbozzati, accostati senza giunzioni precise e quasi del tutto privi di schegge di calzatura; la seconda maniera, basata sull'utilizzo di blocchi meglio sbozzati, anche se ancora con giunti irregolari, rincalzati con scaglie; la terza maniera, consistente nella giustapposizione di poligoni regolari con lati perfettamente combacianti e superficie levigata; e infine la quarta, che prevedeva la disposizione su piani tendenzialmente orizzontali di blocchi ben squadrati, di forma approssimativamente trapezoidale. Questo tentativo di classificazione, che mantiene ancora oggi larga diffusione e una sostanziale validità descrittiva, è stato però in genere identificato con un rigido schema cronologico evolutivo, anche aldilà delle intenzioni del Lugli: per molti epigoni dello studioso romano le quattro maniere si sarebbero succedute nel corso dei secoli in modo lineare.

Segni - Porta Foca

Su questa base si sono costruite impalcature cronologiche prive di riscontri reali, rapidamente crollate di fronte ad analisi più approfondite. È degli ultimi decenni un processo di radicale revisione dell'evoluzione interna e delle datazioni di molti circuiti murari. Solo in alcuni casi l'analisi delle tecniche murarie e della topografia generale dei siti si è potuta avvalere di precisi riscontri derivanti da scavi archeologici; più di frequente, solo la combinazione di osservazioni di natura tecnica, topografico-urbanistica e storica ha condotto a proporre nuove ipotesi. Si è potuto fra l’altro constatare che l'utilizzo delle tecniche considerate più antiche può non essere dovuto a una maggiore antichità della cinta stessa, bensì alle caratteristiche della pietra calcarea disponibile, che poteva adattarsi meglio a una sbozzatura grossolana e risultare inadatta a trattamenti più raffinati del taglio e delle superfici, necessari nelle altre due tecniche. È il caso di Arpino e Veroli, dove l'utilizzo di queste tecniche tradizionalmente ritenute più antiche risulterebbe, secondo gli studi più aggiornati, non anteriore all'ingresso definitivo dei due centri nell'orbita romana, verso la fine del IV secolo.

John Izard Middleton (Charleston - Sud Carolina, 1785 - Parigi, 1849) - Alatri Porta Minore

Lo stesso utilizzo contemporaneo di più tecniche nella stessa cinta non andrebbe sempre ricondotto, come si riteneva un tempo, a realizzazioni distinte nel tempo, bensì non di rado alla stessa circostanza di affioramenti rocciosi dalle caratteristiche differenti nei diversi versanti della città, ed eventualmente alla compresenza di maestranze dalle differenti abitudini: è il caso, ancora una volta, della cinta di Arpino, ma anche, per diversi aspetti, di quella di Ferentino.
Secondo alcuni studiosi l’unitarietà costruttiva di alcune fra le cinte maggiori, nonostante discrepanze apparenti, deriverebbe dalla coerenza progettuale, dall'adeguamento del tracciato alla morfologia del terreno, e infine dall'applicazione costante di espedienti destinati a favorire tenuta e drenaggio delle cortine murarie.

Arpino - Interno della Porta a sesto acuto

Ciò nonostante, con gli stessi criteri sono stati riconosciuti numerosi esempi di progetti non unitari e di rifacimenti anche estesi di tratti di mura; laddove i dati archeologici intervengono a sostenere una più corretta collocazione cronologica delle mura, si danno casi in cui si è costretti ad ammettere che le tradizionali datazioni ad epoche particolarmente antiche non reggono, ma anche altri in cui si conferma la presenza di tracciati preromani, talvolta abbandonati con l’avvento del predominio romano, talaltra variamente modificati e ricollegati a tratti di mura più recenti e a impianti difensivi più organici, ormai del periodo in cui le città erano sotto il controllo romano. Qualche indizio archeologico, unito alle scarne affermazioni delle poche iscrizioni superstiti, ad Alatri come ad Arpino o a Ferentino, suggerisce poi interventi di restauro e integrazione delle mura con apprestamenti difensivi nuovi ancora fino alla fine del periodo repubblicano (II-I sec. a.C.).

Una proposta recente di classificazione delle mura in due soli grandi gruppi, distinti dalla caratteristica della presenza di giunti irregolari o, viceversa, regolari fra i blocchi, risulta in ultima analisi l’unica applicabile, benché di modesta utilità. Si dovrà riconoscere che, mentre il primo tipo è attestato dall'età arcaica fino al III-II secolo a.C., l’avvento delle mura a giunti regolari non pare risalire oltre il IV secolo a.C. Considerare questa innovazione come coincidente con il periodo dell’affermazione del predominio romano non significa però riconoscere automaticamente il carattere “romano” di questa tecnica e delle realizzazioni ad essa connesse: casomai, essa andrà associata a quell'ambiguo orgoglio delle città italiche, prima sconfitte o precocemente rassegnate al dominio romano, ma presto arricchitesi sotto la protezione di Roma stessa, che culminerà con la Guerra Sociale e il riconoscimento della cittadinanza romana.


Fonti

Centro Studi sull'Opera Poligonale





Latium adiectum

Guida alle Mura poligonali della Provincia di Frosinone di E.Polito





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