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mercoledì 30 luglio 2014

Lo scavo delle Isole Orkney dissipa l'immagine dei nostri antenati come cavernicoli

L'immagine dei nostri antenati neolitici come anime semplici a ritagliarsi un'esistenza primitiva è stata dissipata.

Il sito di Ness of Brodgar sulle Orkney [Crediti: Jim Richardson, National Geographic]

Uno nuovo scavo di un complesso di un tempio di 5000 anni fa sulle Isole Orkney ha scoperto prove che suggeriscono che gli uomini preistorici erano molto più sofisticati di quanto si pensasse.

Lo scavo archeologico presso il sito di Ness of Brodgar, che è ancora nelle sue fasi iniziali, ha già sollevato scoperte che gli archeologi dicono ci costringeranno a rivalutare la nostra comprensione di come vivevano i nostri antenati.

L'immagine che è emersa finora punta ad una società complessa e capace che ha mostrato impeccabile lavoro umano e ha creato un paesaggio integrato.

Fino a 30 anni fa, il Cerchio di Brodgar, le Pietre di Stenness, e la tomba Maes Howe, il tutto sulle Orkney, sono stati visti come monumenti isolati con storie separate. Ora sembra siano stati costruiti come parte di una comunità connessa, anche se il suo scopo rimane sconosciuto.

Veduta aerea del Ness of Brodgar sulle Orkney [Crediti: Hugo Anderson Whymark]

L'archeologo Nick Card, direttore degli scavi  del Archaeology Institute at the University of the Highlands and Islands, dice che le antiche rovine si stanno sconvolgendo la preistoria britannica alla sua base. "Quello che Ness ci sta dicendo è che questo era un paesaggio molto più integrato di quanto chiunque abbia mai sospettato", ha detto.

"Tutti questi monumenti sono indissolubilmente legati in qualche grande tema che possiamo solo immaginare. Le persone che hanno costruito tutto questo erano una società molto più complessa e capace di quanto è stato generalmente interpretato".

Lo scavo archeologico, che è descritto nel numero di agosto della rivista National Geographic, ha restituito migliaia di reperti di valore inestimabile - teste di mazza cerimoniale, asce di pietra levigata, coltelli di selce, una figurina umana, pentole in miniatura, spatole in pietra finemente lavorate, ceramiche colorate altamente raffinate, e più di 650 opere d'arte neolitica, di gran lunga la più grande collezione mai trovata in Gran Bretagna. L'articolo ha sottolineato che finora solo il 10 per cento del sito di Ness è stato scavato, e che molte più strutture di pietra note sono presenti sotto il manto erboso nelle vicinanze.

Ricostruzione del sito di Ness of Brodgar [Crediti: Will MacNeil]

Roff Smith, autore dell'articolo del National Geographic che ha studiato lo scavo, ha detto: "Avevano la tecnologia dell'Eta della pietra, ma la loro visione era millenni in anticipo sui tempi. Cinquemila anni fa, gli antichi abitanti di Orkney - un fertile, verde arcipelago al largo della punta settentrionale della moderna Scozia - eressero un complesso di edifici monumentali diverso da qualsiasi cosa avessero mai tentato prima.

"Hanno estratto e lavorato migliaia di tonnellate di pietra arenaria a grana fine, poi trasportata per diversi chilometri fino a un promontorio erboso con splendide vedute sulla campagna circostante.

"La loro esecuzione è stata impeccabile. Le mura imponenti che hanno costruito sono paragonabili a quelle del Vallo di Adriano che i centurioni romani avrebbero costruito circa 30 secoli dopo, in un'altra parte della Gran Bretagna. Protetti all'interno di quelle mura vi erano decine di edifici, tra i quali una delle più grandi strutture con tetto costruite nella preistoria del nord Europa, di 25 metri di lunghezza e 18 metri di larghezza, con pareti spesse 4 metri".

Pietra decorata trovato nel sito di Ness of Brodgar [Crediti: ORCA UHI]

Smith ha osservato che il complesso è caratterizzato da stradine lastricate in pietra, lavori in pietra scolpita, facciate colorate, tetti di ardesia in un momento in cui gli edifici erano di solito coperti con tappeto erboso, pelli, o paglia.

"Il sito di Ness oggi e diverse strutture dell'Età della Pietra costituiscono il nucleo di un sito patrimonio mondiale chiamato il Cuore neolitico di Orkney".

"Su un poggio rivestito di erica a mezzo miglio di distanza sorge un cerchio gigante di pietre conosciuto come il Ring of Brodgar", ha detto Smith.

"Un secondo cerchio cerimoniale di pietre, le famose Pietre di Stenness, è visibile attraverso la strada rialzata che porta al sito di Ness. E a un miglio di distanza c'è un tumulo misterioso chiamato Maes Howe, un enorme tomba a camera datata a più di 4500 anni fa".

L'archeologo della contea di Orkney, Julie Gibson, che è arrivata nelle isole più di 30 anni fa a scavare un cimitero vichingo, ha detto: "Io ho sentito chiamare questo posto l'Egitto del Nord. Se qui girate attorno a una roccia probabilmente avete trovato un nuovo sito".

Il Ring of Brodgar [Credit: © Kieran Baxter]

Smith ha aggiunto: "Il sito di Ness di Brodgar sembra essere il pezzo di ancoraggio - il pezzo forte, se si vuole - che collega questi altri grandi monumenti in un tipo di grande paesaggio monumentale che nessuno aveva mai sognato potesse esistere. E averlo avuto sepolto sotto i piedi, insospettato, per tanti secoli, si aggiunge solo il senso di meraviglia che circonda la sua scoperta.

"Pensare che archeologi e antiquari vittoriani hanno cercato a tastoni su questo terreno per oltre un secolo". 

"Ciò che mi ha affascinato e sorpreso personalmente è stata l'intraprendente umanità di queste rovine neolitiche". 

Fonte: Qui e Qui




martedì 29 luglio 2014

Antico inno sumero suonato dopo 3400 anni



  • Gli studiosi della University of California a Berkeley hanno portato in vita gli antichi suoni della Mesopotamia a seguito della decrittazione e lo studio di una serie di antichi testi cuneiformi che risalgono a 3400 anni fa, secondo un rapporto sui WFMU. Il risultato è la ricostruzione di un pezzo di musica inascoltata per migliaia di anni, e il CD dal titolo "Suoni dal silenzio" è ora a disposizione del pubblico, e un'interpretazione alternativa può essere ascoltata qui.

    Conosciuto come testi lessicali, il corpus di antiche tavolette cuneiformi, che spaziano nel tempo dal terzo millennio al I secolo a.C., sono stati scoperti nei primi anni 50 nell'antica città siriana di Ugarit. Prima di questo momento, praticamente nulla si sapeva sulla musica sumero-babilonese, a parte il tipo di strumenti musicali che usavano, come dedotto dalle immagini scolpite e dai reperti archeologici. Gli studiosi erano completamente all'oscuro circa la teoria e la pratica di quello che era considerato un'arte divina, il cui patrono era il dio Enki/Ea, che sovrintendeva ai regni della magia, delle arti e dei mestieri.

    L'ingresso al palazzo reale di Ugarit, dove sono state trovate le canzoni Hurrian.
    Fonte: Wikipedia

    Tuttavia, l'incredibile scoperta ha messo in luce l'ampia gamma di attività scientifiche degli antichi Sumeri. All'interno della collezione, quattro testi cuneiformi singoli e un quinto gruppo di testo contenente complessa teoria musicale e notazione, così come un inno religioso di 3400 anni fa, il più antico pezzo completo di musica notata mai scoperto.

    Anche se sono stati trovati quasi 40 inni in scrittura cuneiforme su frammenti di tavolette di argilla, solo su una di queste ne riporta uno quasi completo, l'inno hurrita di Nikkal. La tavoletta contiene i testi per un inno ad una dea di frutteti, Nikkal, e le istruzioni per un cantante accompagnato da un sammûm a nove corde, un tipo di arpa o, molto più probabilmente, una lira. Una o più tavolette contiene anche le istruzioni per accordare l'arpa.

    Un esempio del tipo di strumento che sarebbe stato utilizzato per riprodurre l'inno. Bassorilievo di musicisti nelle rovine del palazzo di Ninive (c.700 a.C.). Fonte.

    A causa della difficoltà di interpretare il linguaggio Hurrian, il significato del testo non è molto chiaro, e una sola interpretazione è stata proposta finora. 

    Ecco una versione semplificata inglese:

    I will (bring x?) in the form of lead2 at the right foot (of the divine throne)
    I will (purify ?) and change (the sinfulness).
    Once sins are) no longer covered and need no longer be changed,
    I feel well having accomplished the sacrifice.

    (Once I have) endeared (the deity), she will love me in her heart,
    the offer I bring may wholly cover my sin
    bringing sesame oil3 may work on my behalf
    in awe may I ...

    The sterile may they make fertile,
    Grain may they bring forth.
    She, the wife, will bear (children) to the father.
    May she who has not yet borne children bear them.

    [Da Hans-Jochen Thiel (1977), "Der Text und die Notenfolgen des Musiktextes aus Ugarit"]


    Anne Draffkorn Kilmer, docente di Assiriologia presso l'Università della California, ha prodotto una interpretazione del brano musicale nel 1960, e da allora, altri studiosi del mondo antico hanno pubblicato le loro versioni. Il professor Kilmer e Richard Crocker della University of California a Berkeley hanno ora pubblicato un audio libro chiamato Suoni dal silenzio, in cui si narrano le informazioni relative alla musica antica del Vicino Oriente, e, in un libretto di accompagnamento, presentano le fotografie e le traduzioni delle tavolette da cui proviene la canzone di cui sopra. Danno anche agli ascoltatori una interpretazione della canzone, dal titolo "A Hurrian Cult Song from Ancient Ugarit", eseguita su una lira, uno strumento probabilmente molto più vicino a quello che ascoltava l'antico pubblico della canzone.

    Anche se questa versione è disponibile solo per l'acquisto, è possibile ascoltare le interpretazioni della canzone da parte di altri studiosi (Urkesh Public) e nel video clip qui sotto.



    Fonte: Qui





    Scoperti in Perù simboli astronomici di 4000 anni fa


  • Archeologi peruviani hanno trovato incisioni che raffigurano le stelle.
  • Foto: Silvia Depaz / Andina

  • Gli archeologi in Perù hanno hanno scoperto quello che credono sia un altare di pietra contenente antiche incisioni rupestri risalenti da 3500 a 4000 anni fa, secondo un articolo apparso su Andina. I ricercatori hanno detto che le incisioni sono state usate per tracciare le stelle e quindi per prevedere le piogge.

    La scoperta è stata fatta presso il complesso archeologico di Licurnique, situato a quattro ore dal distretto di Olmos nella regione settentrionale del Perù di Lambayeque. Questa regione è conosciuta per i suoi reperti archeologici e per il ricco passato storico di Moche e Chimú. Il nome di Lambayeque è una derivazione spagnola del dio Yampellec, che pare fosse adorato dal primo re Lambayeque, Naymlap.

    Secondo un'antica leggenda, grandi chiatte galleggianti di balsa arrivarono alle spiagge della baia dell'attuale San José. Formata da un brillante corteo di nove guerrieri stranieri, queste navi erano condotte da un uomo di grande talento e coraggio, di nome Naymlap, il mitico fondatore della prima civiltà del nord-ovest. Tra i discendenti di Naymlap c'erano i popoli Moche, Wari, e Chimú.

    La pietra trovata con petroglifi astronomici. Credit: Andina

    I ricercatori Juan Martinez e Manuel Curò hanno spiegato che il sito archeologico Licurnique è unico perché unisce influenze preistoriche, ispaniche e andine. Secondo il rapporto su Andina: "gli archeologi hanno trovato un petroglifo che consiste di un altare litico, espressione di sovrapposizione religiosa. E fornisce dettagli sulla comprensione degli abitanti di Licurnique ".

    Anche se gli archeologi non hanno dettagliato il metodo usato per datare i petroglifi al IV millennio a.C., hanno detto che le funzioni astronomiche che sono state incise sulla roccia hanno superato con successo la prova del tempo.


    Fonte: Qui




    Scoperto geoglifo ad Arequipa simile alla Linee di Nazca

  • Il geoglifo scoperto ad Arequipa. Credit: Peru21

  • Gli archeologi che effettuano scavi ad Arequipa, nel sud del Perù, sono rimasti sorpresi nel trovare una grande geoglifo che ricorda le famose linee di Nazca, secondo un rapporto in Peru21. Il grande geoglifo è il primo del suo genere scoperto nella regione. E' stato legato alla cultura pre-Inca Wari (1200-1300 d.C.), anche se non è chiaro in che modo i ricercatori abbiano raggiunto questa conclusione.

    Il geoglifo, che misura 60 metri per 40 metri, è stato scoperto durante le indagini archeologiche in corso in vista di un progetto di irrigazione nella provincia di Caylloma. Si compone di una grande immagine rettangolare con forme geometriche e linee all'interno di esso ed è simile a molti dei geoglifi trovati in Nazca.


    Geoglifi di Nazca

    La civiltà Wari (in spagnolo: Huari) fiorì intorno al 600 d.C. negli altopiani andini e forgiato una società complessa ampiamente considerata oggi come il primo antico impero del Perù. La loro capitale andina, Huari, divenne una delle grandi città del mondo di allora. Relativamente poco si sa circa i Wari perché non esistono documenti scritti, anche se migliaia di siti archeologici rivelano molto della loro vita. Se il ​​geoglifo scoperto di recente è stato creato dal popolo Wari, la constatazione serve a gettare nuova luce sulle pratiche culturali Wari, che avrebbero potuto essere influenzate dal popolo Nazca.

    Fonte: Qui




    sabato 26 luglio 2014

    Il nostro DNA alieno

    Coding DNA

    Nel 1960, un giovane astronomo di nome Frank Drake puntò il radiotelescopio di Green Bank verso le stelle Tau Ceti ed Epsilon Eridani ... e rimase in ascolto in attesa di suoni di una civiltà aliena. Il piccolo esperimento di Drake segna l'inizio ufficiale del Search for Extraterrestrial Intelligence (SETI). Da quel momento, il SETI ha continuato a scansionare più parti del cielo, ascoltando fasce sempre più ampie dello spettro radio, ma il silenzio è stato assordante. Mentre molti hanno preso questo come un segno probabile che il cosmo è in gran parte vuoto, potrebbe essere più probabile che la ricerca del SETI è stata troppo limitata nella sua portata, basandosi su una sola particolare tecnologia del XX secolo che sta già cadendo in disuso.

    Per ampliare la ricerca, altre tecnologie di trasmissione sono stati proposte, come i laser. Ma anche quelle idee sembrano limitate alla nostra convinzione culturale di una tecnologia artificiale avanzata - ma che sembrano suscettibili di essere considerate come caratteristiche appena di un secolo o due nel nostro futuro. Che cosa succederebbe se, invece, gli alieni avessero già lasciato un messaggio per noi, "nascosto in bella vista", fin dagli albori della storia? Che cosa succederebbe se avessimo dovuto guardare semplicemente dentro di noi?

    In un articolo pubblicato lo scorso anno su Icarus, la prestigiosa rivista di scienza planetaria, veniva chiesto se fosse possibile che la vita sulla Terra sia stata "seminata" da oltre la Terra - e se fosse così, i mattoni di quella vita, il DNA, contengono un qualche tipo di messaggio dei nostri creatori alieni. Utilizzando la matematica, gli autori dell'articolo - " Il segnale "Wow!" del codice genetico terrestre "- hanno cercato elementi di prova di un forte segnale statisticamente 'informativo' nel codice genetico, con risultati sorprendenti:

    "Qui mostriamo che il codice terrestre mostra una approfondita precisione di tipo ordinato corrispondente ai criteri per essere considerato un segnale informativo. Semplici disposizioni del codice rivelano un insieme di modelli aritmetici e ideografici dello stesso linguaggio simbolico. Accurati e sistematici, questi modelli sottostanti appaiono come un prodotto di logica di precisione e informatica non banale, piuttosto che di processi stocastici (l'ipotesi nulla che essi siano dovuti ad accoppiamenti casuali con percorsi evolutivi presumibili è respinta con P-value <10-13 artificialit="" caratteristiche="" chiaramente="" di="" i="" il="" mostra="" riconoscibili="" segnale="">



    (Per le contro-osservazioni opposte alle affermazioni dell'articolo, vedere questo post del blog Pharyngula).

    È interessante notare che questa non era la prima volta che Icarus aveva pubblicato un'articolo che sosteneva l'idea di un 'SETI biologico'. Nel 1979 la rivista - sotto l'editor Carl Sagan - ha pubblicato un articolo intitolato "Il DNA φX174 batteriofago è un messaggio di una intelligenza extraterrestre?", scritto dai biochimici giapponesi Hiromitsu Yokoo e Tairo Oshima. Dato quanto folle suonasse l'idea, Sagan chiese a un giovane pupillo, David Grinspoon (ora astrobiologo di primo piano), di controllare l'articolo e di valutare se fosse legittimo. Ecco come Grinspoon descrive l'articolo nel suo libro Lonely Planets:

    "I numeri primi sono quelli che non possono essere ottenuti moltiplicando insieme tutti gli altri numeri interi: 1, 3, 5, 7, 11, 13 ecc. Nessuna formula conosciuta sui processi naturali li genera. Se vedete numeri primi, si sa che la mente non è da meno.

    Un'idea ampiamente accettata per la costruzione di un messaggio interstellare è quella di inviare impulsi digitali che si ripetono con un numero che è il prodotto di due numeri primi moltiplicati tra loro. Ciò suggerisce che sia stata inviata una immagine bidimensionale. Ad esempio, se avete ricevuto un messaggio che stava ripetendo una sequenza di 143 impulsi, voi o la vostra macchina, avrebbe detto: "Oh, 143 è 11 volte 13, e questi sono due numeri primi. Facciamo una griglia di 11 per 13 e vediamo se c'è una immagine codificata". Questa tecnica - di creare con numeri primi immagini 2-D facilmente decodificabili - è un pilastro della teoria SETI.

    Ora torniamo al messaggio in quel virus, φX174 batteriofago. È il primo organismo per il quale l'intero genoma è stato decodificato. Una caratteristica notevole scoperta è stata la presenza dei "geni sovrapposti". Questi sono sequenze di nucleotidi che possono essere letti in due diverse strutture, per codificare due proteine ​​completamente diverse. In altre parole, la sequenza di DNA CAATGGAACAACTCA, può essere letta come "parole" di tre lettere CAA TGG AAC AAC TCA, e questo indicherà a una cellula di iniziare a costruire una proteina mettendo insieme i cinque amminoacidi specificati da queste triplette. Tuttavia, a partire da una lettera diversa, la stessa sequenza può anche essere letta come ATG GAA CAA CTC, e così via, che genera una proteina completamente diversa.



    Ma aspettate, c'è di più. Questo organismo (φX174) conteneva non uno, ma tre coppie di questi geni sovrapposti. E, se si conta il numero di lettere in queste sequenze che si sovrappongono, si scopre che sono 121, 91 e 533. Ognuno di questi è il prodotto di due numeri primi (11x11, 7x13 e 13x41). Strano vero? Qui c'era la firma ampiamente accettata di un messaggio intelligente, venuto fuori nel più strano dei posti.

    Sia i ricercatori che Grinspoon, hanno fatto quello che ogni appassionato di SETI avrebbe fatto: hanno tentato di utilizzare le coppie di numeri primi per creare immagini bidimensionali. Purtroppo, le immagini sembravano rumore casuale, e nonostante "cercassimo tutti i tipi di trucchi" per decodificarli, nessun messaggio coerente è mai stato scoperto. (Qui di seguito ci sono i "messaggi" che Grinspoon ha creato dalle 'informazioni' del DNA).


    Anche se nessun messaggio alieno è stato trovato, l'articolo del 1979 pubblicato su Icarus sembra decisamente in anticipo sui tempi dal punto di vista dell'anno 2014. La biologia sintetica sta facendo passi avanti: nel 2010, un team guidato dal biologo americano Craig Venter ha sintetizzato una lunga molecola di DNA contenente l'intero genoma di un batterio, e collocato dentro un'altra cellula. Questo 'organismo sintetico' ha filigrane scritte nel suo DNA, compresi i nomi dei 46 scienziati che hanno contribuito e una serie di citazioni del celebre scrittore irlandese James Joyce. E l'artista genetico Joe Davis sta progettando per codificare l'intera Wikipedia nel genoma di una mela, per riecheggiare il frutto proibito che cresceva nel giardino dell'Eden - un "albero della conoscenza" letterale.

    Notare la quantità di informazioni che Davis sta per stipare nella mela. Qualsiasi messaggio alieno nascosto all'interno del nostro DNA non deve essere solo una breve frase; piuttosto si potrebbero impiantare interi libri. Come ha commentato lo scrittore scientifico Dennis Overbye:

    Il genoma umano ... è composto da circa 2,9 miliardi di quelle lettere - l'equivalente di circa 750 megabyte di dati - ma solo circa il 3 per cento di esso va a comporre i circa 22.000 geni che ci rendono ciò che siamo.

    Il restante 97 per cento, il cosiddetto DNA spazzatura, sembra senza senso. È la materia oscura dello spazio interno. Non sappiamo cosa stia dicendo a noi o su di noi, ma dentro quel mare di megabyte c'è un sacco di spazio per far vagare l'immaginazione, per i marchi di fabbrica e molto altro. La Bibbia di Re Giacomo, per prendere un esempio ovvio, ammonta solo a circa cinque megabyte.

    E l'idea di SETI biologico sembra avere senso. Il fisico George Marx scrisse a sostegno del concetto ponendo una domanda: "Come si fa a inviare una lettera a un pianeta lontano, una lettera che sia abbastanza leggera per un facile trasporto, che si scompatti all'arrivo, in grado di correggere automaticamente gli errori di stampa, e che verrà letto definitivamente dalla razza intelligente del pianeta di destinazione dopo aver raggiunto la maturità scientifica?"

    Ma è probabile che non troveremo mai un messaggio alieno all'interno del DNA, data la diversità della vita sulla Terra, e la complessità sia di rilevare sia di decodificare un messaggio del genere? Forse ulteriori progressi nella registrazione dei genomi di varie forme di vita, in combinazione con i progressi nella potenza del computer e gli algoritmi costruiti per rilevare tali modelli, ci permetteranno di farlo. Come la prima dichiarazione del SETI ha osservato, "La probabilità di successo è difficile da stimare, ma se non cerchiamo mai, la possibilità di successo è zero".



    Fonte: Qui




    mercoledì 23 luglio 2014

    Scoperto insediamento africano vecchio di 70 mila anni

    Gli scavi a Affad 23 Foto: M. Osypińska

    Durante gli scavi in corso nel nord del Sudan, gli archeologi polacchi dell'Istituto di Archeologia e Etnologia di Poznań, hanno scoperto i resti di un insediamento che si stima risalga a 70.000 anni fa. Questa scoperta, secondo i ricercatori, sembra contraddire la credenza che la costruzione di strutture permanenti sia stato associato con il cosiddetto Grande esodo dall'Africa e relativa occupazione delle regioni più fredde dell'Europa e dell'Asia.

    Il sito conosciuto come Affad 23, è attualmente l'unico registrato nella Valle del Nilo, il che dimostra che l'Homo sapiens costruiva strutture permanenti consistenti, e che si era adattato bene all'ambiente umido.

    Questa nuova prova indica un livello molto più avanzato di sviluppo umano e di adattamento in Africa durante il Paleolitico medio.

    Resti di insediamenti paleolitici ad Affad. Foto: M. Osypińska

    Individuazione del "villaggio"

    "Le scoperte di Affad sono uniche per il Medio Paleolitico. La scorsa stagione, ci siamo imbattuti in un paio di tracce di strutture in legno chiaro. Tuttavia, durante la ricerca attuale siamo riusciti a localizzare con precisione il villaggio e identificare le aree di utilità aggiuntive: un grande laboratorio di selce, e uno spazio per la macellazione di animali, situato a distanza" - ha spiegato il direttore del progetto Dr. Marta Osypińska.

    I ricercatori stanno anche lavorando su un elenco di specie animali che questi primi uomini cacciavano. Nonostante gli strumenti relativamente semplici di selce realizzati utilizzando la tecnica Levallois, questi esseri umani sono stati in grado di cacciare grandi mammiferi pericolosi come ippopotami, elefanti e bufali, così come i piccoli, agili scimmie e ratti di canna (grandi roditori che abitavano le zone umide).

    Scavi. Foto: M. Osypińska

    Cacciatori paleolitici

    Quest'anno, i ricercatori mirano a datare con precisione il periodo di tempo in cui i cacciatori paleolitici hanno vissuto qui, utilizzando la luminescenza otticamente stimolata.

    "A questo punto sappiamo che la costruzione di questo insediamento del Paleolitico medio in Affad è avvenuto alla fine del periodo umido, come indicato dai dati ambientali, compreso l'elenco delle specie animali cacciate. Ma nel lontano passato della terra si sono verificati tali condizioni ecologiche almeno due volte "circa 75 millenni e circa 25 millenni fa. Determinare il momento in cui le persone abitavano la riva del fiume vicino Affad di oggi è l'obiettivo più importante del nostro progetto" - ha detto l'esperto di preistoria Piotr Osypiński.

    La squadra polacca sta lavorando con scienziati della Oxford Brookes University, che stanno aiutando ad analizzare la storia geologica della zona. I risultati aiuteranno a determinare le condizioni climatiche e ambientali che hanno prevalso nella Valle del Nilo centrale durante il tardo Pleistocene, con la speranza di identificare i fattori che hanno contribuito all'eccellente stato di conservazione presso il sito Affad 23.


    Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito ufficiale
    Fonte: Qui




    lunedì 21 luglio 2014

    Le forme di vita che si nutrono di pura energia


    Geobacter (Image: Derek Lovley/SPL)

    Pianta un elettrodo nel terreno, pompa giù degli elettroni, e verranno: le cellule viventi che si nutrono di energia elettrica. Abbiamo conosciuto batteri che sopravvivono su una varietà di fonti di energia, ma nessuno strano come questo. Pensate al mostro di Frankenstein, portato alla vita dall'energia galvanica, solo che questi "batteri elettrici" sono molto reali e stanno spuntando dappertutto.


    A differenza di qualsiasi altra forma di vita sulla Terra, questi batteri straordinari utilizzano l'energia nella sua forma più pura - mangiano e respirano elettroni - e sono ovunque.


    A differenza di qualsiasi altro essere vivente sulla Terra, i batteri utilizzano l'energia elettrica nella sua forma più pura - nuda elettricità sotto forma di elettroni raccolti dalle rocce e dai metalli. Già ne conoscevamo due tipi, Shewanella e Geobacter. Ora, i biologi stanno dimostrando che possono adescarne molti di più dalle rocce e dal fango marino tentandoli con un po 'di succo elettrico. Esperimenti di crescita di batteri sugli elettrodi della batteria dimostrano che queste nuove straordinarie forme di vita essenzialmente mangiano ed espellono elettricità.

    "Questa non dovrebbe essere completamente una sorpresa", dice Kenneth Nealson della University of Southern California, Los Angeles. Sappiamo che la vita, nella sua forma condensata, è un flusso di elettroni: "Mangiate zuccheri che hanno elettroni in eccesso, e respirate ossigeno che li prende volentieri". Le nostre cellule frantumano gli zuccheri e gli elettroni fluiscono attraverso di loro in una complessa serie di reazioni chimiche finché non vengono trasmessi ad ossigeno affamato di elettroni.

    Nel processo, le cellule producono ATP, una molecola che funge da accumulatore di energia per quasi tutti gli esseri viventi. Trasportare elettroni è una funzione fondamentale dell'ATP. "La vita è molto intelligente", dice Nealson. "E capisce come succhiare gli elettroni da tutto ciò che mangiamo e tenerli sotto controllo." Nella maggior parte delle forme viventi, il corpo confeziona gli elettroni in molecole che possono essere tranquillamente trasportate attraverso le cellule fino a che non vengono scaricate sull'ossigeno.

    "Questo è il nostro modo di produrre tutta la nostra energia ed è lo stesso per ogni organismo su questo pianeta", dice Nealson. "Gli elettroni devono fluire in modo che l'energia sia acquisita. Ecco perché quando qualcuno soffoca una persona questa muore in pochi minuti. Ha interrotto la fornitura di ossigeno, e gli elettroni non possono più scorrere."

    La scoperta dei batteri elettrici dimostra che alcune forme di base della vita possono fare a meno di intermediari zuccherati e gestire l'energia nella sua forma più pura - gli elettroni, raccolti dalla superficie dei minerali. "E' veramente strano, sapete", dice Nealson. "In un certo senso, alieno."

    Il team di Nealson è uno dei pochi che sta crescendo questi batteri direttamente su elettrodi, mantenendoli in vita con l'elettricità e niente altro - né zuccheri, né qualsiasi altro tipo di nutriente. L'equivalente altamente pericoloso per l'uomo, dice, sarebbe nutrirci spingendo le dita in una presa di corrente elettrica.

    Per crescere questi batteri, il team raccoglie sedimenti dai fondali marini, li riporta in laboratorio, e vi inserisce gli elettrodi.

    Viene misurata la tensione naturale che passa attraverso il sedimento, prima di applicarne una un po' diversa. Una tensione leggermente superiore offre un eccesso di elettroni; una tensione leggermente inferiore significa che l'elettrodo accetta facilmente elettroni da cosa disposta a disfarsene. I batteri nei sedimenti possono sia "mangiare" elettroni dalla tensione superiore, o "respirare" elettroni all'elettrodo a tensione inferiore, generando una corrente.Tale corrente viene rilevata dai ricercatori come un segnale del tipo di vita che è stato catturato.

    "Fondamentalmente, l'idea è di prendere dei sedimenti, piantarci degli elettrodi dentro e poi chiedere 'OK, a chi piace?", dice Nealson.



    Respiro Shocking

    Alla Conferenza Goldschmidt sulla geoscienza a Sacramento, in California, il mese scorso, Shiue-lin Li del laboratorio di Nealson ha presentato i risultati di esperimenti che crescono respiratori di energia elettrica nei sedimenti raccolti dal porto di Santa Catalina in California. Anche Yamini Jangir, della University of Southern California, ha presentato esperimenti separati che crescevano respiratori di elettricità raccolti da un pozzo nella Death Valley, nel deserto del Mojave in California.

    Inoltre presso l'Università del Minnesota a St. Paul, Daniel Bond e i suoi colleghi hanno pubblicato esperimenti che dimostrano che si potrebbe coltivare un tipo di batterio che raccoglie elettroni da un elettrodo di ferro (mBio , doi.org / TQG). Che la ricerca, dice il supervisore di Jangir Moh El-Naggar , può essere l'esempio più convincente che abbiamo finora di mangiatori di energia elettrica coltivati fornendo solo elettroni senza cibo aggiunto.

    Ma Nealson pensa ci sia molto di più. Il suo dottorando Annette Rowe ha individuato fino a otto diversi tipi di batteri che consumano elettricità. Questi risultati sono stati sottoposti per la pubblicazione.

    Nealson è particolarmente eccitato che Rowe ha trovato tanti tipi di batteri elettrici, tutti molto diversi tra di loro, e nessuno di loro nulla di simile al Shewanella o al Geobacter . "Questo è incredibile. Significa che c'è tutta una parte del mondo microbico che noi non conosciamo."

    Alla scoperta di questa biosfera nascosta è proprio per questo che Jangir e El-Naggar vogliono coltivare batteri elettrici. "Stiamo utilizzando elettrodi per imitare le loro interazioni", dice El-Naggar. "La coltura di incoltivabili, se volete." I ricercatori hanno in programma di installare una batteria all'interno di una miniera d'oro in Sud Dakota per quale sorma di vita possa vivere laggiù.


    Anche la NASA è interessata a cose che vivono in profondità perché tali organismi spesso sopravvivono con pochissima energia e possono suggerire modi di vita in altre parti del sistema solare.

    I batteri elettrici potrebbero avere usi pratici qui sulla Terra, tuttavia, come la creazione di BIOMACCHINE che fanno cose utili come la pulizia delle acque reflue o sotterranee contaminate mentre si alimentano dall'ambiente. Nealson li chiama dispositivi utili autoalimentati, o Spuds.

    Oltre alla praticità, un'altra prospettiva entusiasmante è quella di utilizzare i batteri elettrici per sondare domande fondamentali sulla vita, come quella su quale sia il minimo di energia necessaria per mantenere la vita.

    Per questo abbiamo bisogno della prossima fase di esperimenti, dice Yuri Gorby, microbiologo presso il Rensselaer Polytechnic Institute di Troy, New York: i batteri dovrebbero essere coltivati non su un singolo elettrodo, ma tra due. Questi batteri potrebbero efficacemente mangiare elettroni da un elettrodo, usarli come fonte di energia, e gettarli verso l'altro elettrodo.

    Gorby ritiene che cellule batteriche che mangiano e respirano elettroni contemporaneamente saranno presto scoperti elettroni. "Un batterio elettrico cresciuto tra due elettrodi potrebbe mantenersi praticamente per sempre", dice Gorby. "Se non sta per mangiare o distruggere poi, in teoria, dovremmo essere in grado di mantenere tale organismo a tempo indeterminato."

    Può anche essere possibile variare la tensione applicata agli elettrodi, diminuendo l'energia disponibile per le cellule al minimo indispensabile per sopravvivere. In questo stato, le cellule possono non essere in grado di riprodursi o crescere, ma sarebbero ancora in grado di eseguire riparazioni sull'apparato cellulare. "Per loro, la funzione dell'energia non sarebbe il mantenimento della vita - ma il mantenimento della vitalità", dice Gorby.

    Di quanta energia avete bisogno per tenere in vita un batterio elettrico? Rispondere a questa domanda vuol dire rispondere a una delle domande esistenziali fondamentali.


    Un filo nel fango

    I batteri elettrici esistono in tutte le forme e dimensioni. Alcuni anni fa, i biologi hanno scoperto che alcuni producono filamenti simili a capelli che agiscono come cavi, trasportando gli elettroni avanti e indietro tra le cellule e il loro ambiente più ampio. Li hanno chiamati nanofili microbici.

    Lars Peter Nielsen e i suoi colleghi della Aarhus University in Danimarca hanno scoperto che decine di migliaia di batteri elettrici possono unirsi per formare catene che trasportano gli elettroni per diversi centimetri - una distanza enorme per un batterio lunga solo 3 o 4 micrometri. Ciò significa che i batteri che vivono, per esempio, nel fango dei fondali marini dove non penetra ossigeno, possono accedere all'ossigeno disciolto nell'acqua di mare semplicemente unendosi tra di loro.

    Tali batteri si stanno mostrando ovunque guardiamo, dice Nielsen. Un modo per scoprire se si è in presenza di questi mangiatori di elettroni è quello di mettere grumi di sporcizia in un piatto fondo pieno d'acqua, e mescolarlo delicatamente. Lo sporco deve cadere a pezzi. Se non lo fa, è probabile che i cavi costituiti dai batteri lo stiano tenendo insieme.




    Biocavi flessibili

    E' molto più di un po' di divertimento. I primi lavori mostrano che questi cavi conducono elettricità così come i fili che collegano il tostapane alla rete. Questo potrebbe aprire nuove strade di ricerca interessanti che coinvolgono biocavi flessibili, coltivati in laboratorio.


    NdT. Questo articolo ha suscitato subito il mio interesse, mi ha riportato alla mente due cose:

    1) i Midichlorian di Star Wars, ricordando che la fantascienza spesso anticipa le scoperte scientifiche, o, addirittura veicola in anticipo informazioni che vanno digerite;

    2) Nikola Tesla e la sua trasmissione di corrente attraverso qualsiasi mezzo, senza incorrere in mortali scosse.

    Tycho


    Articolo originale: Qui




    sabato 19 luglio 2014

    La pietra di Cochno rivede la luce dopo 50 anni?


    La pietra di Cochno riporta quello che è considerato il miglior esempio
    di scultura a coppelle e anelli  dell'Età del Bronzo in Europa.

    Una serie di misteriose incisioni rupestri vecchie di 5000 anni, potrebbe rivedere la luce del giorno, dopo essere state sepolte 50 anni fa per proteggerle dai vandali.

    La pietra di Cochno nel West Dunbartonshire riporta quello che è considerato il più bell'esempio dell'Età del Bronzo di scultura a coppelle e anelli in Europa.

    La pietra, che misura 14x8 metri, è stata scoperta dal Rev. James Harvey nel 1887 su terreni vicino a quello che oggi è il complesso residenziale Faifley sul confine di Clydebank.

    È coperto da circa 90 rientranze scavate, o coppelle, e spirali scanalati, insieme ad una croce anellata e un paio di piedi con quattro dita.


    A causa della serie di marcature su di essa, la Pietra di Cochno è stata riconosciuta di importanza nazionale e considerata come un monumento.

    Nel 1964, gli archeologi dell'Università di Glasgow hanno accomandato che fosse sepolta sotto diversi metri di terreno per proteggere le sculture da ulteriori danni di vandali. La pietra è stata coperta da allora.

    A cavallo del giardino di una proprietà privata e del parco di proprietà del Comune, è ora coperta da vegetazione e circondata da alberi.

    Nel suo libro L'arte rupestre preistorica del sud della Scozia, l'archeologo Ronald Morris, un esperto di antiche incisioni rupestri, ha descritto la pietra come "una delle più raffinate collezioni di pietroglifi della Scozia".


    Il ricercatore e storico Alexander McCallum, che ha fatto pressioni perché la pietra fosse coperta, ha detto che ci sono molteplici interpretazioni per le incisioni: "Alcune persone pensano che La Pietra di Cochno è una mappa che mostra gli altri insediamenti nella Valle del Clyde - che è una delle teorie. Penso che sia stata probabilmente usata per un sacco di cose; non è mai stata utilizzata solo per una cosa e per centinaia di anni ne è cambiato l'uso.

    "Per quanto riguarda il simbolismo, alcuni credono che si tratti di un portale, di vita e morte, di rinascita, di un grembo materno e di una tomba - queste persone credevano nella reincarnazione".


    McCallum crede anche possibile che la pietra fosse usata nelle cerimonie sacrificali, con latte o acqua versata nelle scanalature e canali come offerte, o che le marcature siano mappe astronomiche, che mostravano le costellazioni agli agricoltori preistorici, indicando periodi propizi alla semina e al raccolto.

    Sculture simili sono state trovate in tutto il mondo, tra cui in Hawaii, India, Africa e Italia, mentre in Scozia tendevano a essere trovati lungo la costa occidentale vicino al mare o lungo i fiumi, spesso in prossimità di miniere di rame.

    I cambiamenti nelle opzioni a disposizione degli organismi che gestiscono la conservazione del patrimonio dei siti antichi e un cambiamento nell'atteggiamento verso il modo in cui dovrebbero essere trattati, hanno portato alla possibilità che la Pietra di Cochno Pietra sia di nuovo scoperta.

    La pietra è stata descritta dal cineasta cozzese May Miles Thomas in The Devil' Plantation, acclamato dalla critica, un percorso su come i monumenti antichi collegano la moderna Glasgow al suo passato preistorico. Il film è basato sul libro del 1980  Geometria nascosta, dell'archeologo Harry Bell.

    Fonte: The Scotsman




    venerdì 18 luglio 2014

    13000 anni fa la prima guerra razziale?


    Gli scheletri rinvenuti in Sudan

    Gli scienziati stanno studiando quella che potrebbe essere la più antica guerra razziale identificata, 13 mila anni dopo essere stata combattuta ai margini del Sahara.

    Scienziati francesi che lavorano in collaborazione con il British Museum hanno esaminato decine di scheletri, la maggioranza dei quali sembrano essere stati uccisi da arcieri con frecce con punta di selce.

    Le ossa sono state rinvenute a Jebel Sahaba sulla riva orientale del Nilo, nel Sudan settentrionale - sono le vittime del più antico, conosciuto e relativamente di larga scala, conflitto armato umano.

    Negli ultimi due anni gli antropologi della Bordeaux University hanno scoperto dozzine di segni di impatto di freccia non rilevati in precedenza e frammenti di punte di freccia in selce sia sulle ossa delle vittime che intorno ai loro resti.

    Questo si aggiunge alle molte teste di freccia e segni di impatto in alcune ossa durante già identificati in un precedente scavo degli anni 60. I resti - il contenuto di un intero antico cimitero - sono stati trovati nel 1964 dall'archeologo americano, Fred Wendorf, ma, fino alle attuali indagini in corso, non era mai stati esaminati con la moderna tecnologia.

    Gli archeologi durante gli scavi degli anni 60


    Parte del materiale scheletrico è appena andato in esposizione permanente come parte della nuova galleria dell'antico Egitto del British Museum, che apre ufficialmente oggi.

    La scoperta di decine di segni di impatto di freccia suggerisce che la maggior parte degli individui - uomini, donne e bambini - nel cimitero di Jebel Sahaba -siano stati uccisi da arcieri nemici, e poi sepolti dalla loro stessa gente. La nuova ricerca dimostra che gli attacchi - in effetti una guerra prolungata di basso livello - ha avuto luogo nel corso di molti mesi o anni.

    Una ricerca parallela negli ultimi anni ha gettando nuova luce su chi, in termini etnici e razziali, fossero le vittime.

    Il lavoro svolto alla Liverpool John Moores University, alla University of Alaska e alla New Orleans Tulane University indica che facevano parte della popolazione sub-sahariana originaria - gli antenati dei moderni africani neri.

    L'identità dei loro assassini è comunque meno facile da determinare. Ma è concepibile che fossero persone di un gruppo razziale ed etnico totalmente diverso - parte di una popolazione nordafricano / levantina / europea che viveva in gran parte del bacino del Mediterraneo.



    I due gruppi - anche se entrambi parte della nostra specie, Homo sapiens - sarebbero sembrati molto diversi tra di loro ed erano anche quasi certamente diversi culturalmente e linguisticamente. Il gruppo di origine sub-sahariana ha arti lunghi, torsi relativamente corti e mascelle superiore e inferiore prominenti con fronti arrotondate e ampi nasi, mentre il gruppo nord africano/levantino/europeo originari del Nord Africa aveva gli arti corti, torsi lunghi e facce piatte. Entrambi i gruppi erano molto muscolosi e strutturalmente forti.

    Certamente la zona settentrionale del Sudan è stata un grande interfaccia etnica tra questi due diversi gruppi in questo periodo. Infatti i resti del gruppo il gruppo nord africano/levantino/europeo originario del Nord Africa è stato trovato anche 200 miglia a sud di Jebel Sahaba, suggerendo così che le vittime furono uccise in una zona dove operavano entrambe le popolazioni.



    Il periodo in cui perirono così violentemente era di enorme concorrenza per le risorse - perché sembrano essere stati uccisi nel corso di una grave crisi climatica in cui molte sorgenti d'acqua erano prosciugate, soprattutto nel periodo estivo.

    La crisi climatica - conosciuto come il periodo Younger Dryas - era stato preceduto da uno molto più lussureggiante, con condizioni più umide e più calde che avevano consentito alle popolazioni di espandersi. Ma quando le condizioni climatiche peggiorarono durante il Younger Dryas, le pozze d'acqua si prosciugarono, la vegetazione appassì e gli animali morirono o si spostarono verso l'unica fonte di acqua ancora disponibile per tutto l'anno - il Nilo.



    Gli esseri umani di tutti i gruppi etnici della zona sono stati costretti a seguire l'esempio - e migrarono verso le sponde del grande fiume (in particolare la sponda orientale). A causa della competizione per le limitate risorse, i gruppi umani si sarebbero inevitabilmente scontrati - e la ricerca in corso sta dimostrando l'apparente scala di questo primo notevole conflitto umano.



    Gli scheletri sono stati originariamente trovati durante gli scavi finanziati dall'Unesco effettuati per analizzare i siti archeologici che stavano per essere sommersi dalla diga di Assuan. Tutto il materiale di Jebel Sahaba è stato portato dallo scavatore Fred Wendorf nel suo laboratorio in Texas, e circa 30 anni dopo è stato trasferito alla cura del British Museum, che ora sta lavorando con altri scienziati per effettuare una nuova importante analisi su questi resti.


    Gli archeologi durante gli scavi degli anni 60

    "Il materiale scheletrico è di grande importanza - non solo a causa delle prove di conflitto, ma anche perché il cimitero di  Jebel Sahaba è il più antico scoperto nella Valle del Nilo finora", ha detto il Dott. Daniel Antoine, un curatore del British Museum.





    mercoledì 16 luglio 2014

    I teschi di gesso di Gerico custodiscono segreti vecchi 9000 anni


    Gerico, città palestinese in Cisgiordania, è il più antico insediamento umano abitato ininterrottamente al mondo. Migliaia di anni prima che la prima città vera e propria fosse fondata nel sud della Mesopotamia, i coloni di Gerico cacciavano, raccoglievano, producevano ceramiche, e facevano cose molto insolite ai teschi dei loro morti: li coprivano di gesso plasmandolo perché riproducesse i volti originali, mettendo conchiglie al posto degli occhi, come per farli vedere nuovamente. Era un atto di amore o di dolore o di fervore religioso, o un qualche mix delle tre cose insieme. E se non fosse per l'aspetto inquietante che il tempo ha dato ai teschi, staccando pezzi di gesso a caso, i prodotti finiti dovevano essere innegabilmente belli.

    Il teschio di gesso di Gerico esaminato dalla TC nel video qui sotto.
    Photo: © 2005 Jononmac (Wikipedia).
    Distribuito sotto licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike License.

    Il teschio di gesso di Gerico più intatto, in dettaglio nella foto in alto.
    Photo: © 2014 Jononmac (Wikipedia).
    Distribuito sotto licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike License.

    Il problema sta nel capire come siano stati costruiti, e guardarvi all'interno, senza rompere queste fragili opere d'arte. I raggi X, a lungo utilizzati per esaminare i resti di mummie, non funzionano in questo caso perché i materiali con i quali sono realizzati ostacolano la vista delle ossa. Così il mese scorso, i ricercatori del British Museum hanno provato una diversa tecnologia (per gentile concessione del loro locale istituto di ricerca sul cancro): il CT scanning. Quello che hanno trovato sotto il gesso è straordinario.



    Nel momento in cui i ricercatori esamineranno più teschi, potranno ottenere una maggiore comprensione di come sono stati fatti, come sono stati utilizzati, e che cosa hanno significato per le comunità che li hanno creati. Ma per ora, grazie alla scansione medica, sappiamo di più su questi teschi, e questo è davvero un buon inizio.


    Articolo originale: Qui




    domenica 13 luglio 2014

    L'antica cittadella micenea di Glas. Nuove indagini.



    Indagini geofisiche rivelano ampi resti invisibili della vasta antica cittadella di Glas.
    Un team di archeologi sta scavando i resti di una grande antica cittadella micenea - un sito archeologico le cui rovine si stanno rivelando essere molto più estese di quello che si vede ad occhio nudo.

    Sotto la guida del Professore Associato Christofilis Maggidis del Dickinson College e il patrocinio della Società Archeologica di Atene, squadre di specialisti stanno sistematicamente esplorando un imponente e piatto sperone roccioso a forma di isola, che si erge 20-40 metri sopra una pianura circostante con un'area sommitale di 20 ettari al margine nord-orientale del bacino Kopais in Grecia sud-orientale. Conosciuta come la cittadella di Glas e identificata come composta da antiche strutture micenee, la misura della cui area sommitale con le rovine è stimata essere dieci volte la dimensione dell'antica cittadella micenea di Tirinto e sette volte quella di Micene, la famosa città di Agamennone dell'Iliade di Omero.


    La zona in rosso sulla mappa mostra la regione della Grecia
    in cui si trovano il bacino Kopais e Glas. Wikimedia Commons


    La Beozia, dove si trovano il bacino Kopais e Glas, nel contesto
    delle vicine antiche regioni centrali della Grecia. Wikimedia Commons


    Veduta aerea di Glas nel bel mezzo della pianura circostante.
    Si notano le massicce mura ciclopiche che racchiudono e definiscono
    il sito delle antiche vestigia. Courtesy Christofilis Maggidis


    "Ho scavato a Glas nel 1990 come studente laureato con il mio mentore, il compianto Spyros Iakovidis", ha detto Maggidis. "La dimensione senza precedenti della cittadella, la sua connessione con il progetto di drenaggio gigantesco di Kopais, e la scoperta di tali importanti ma scarsi reperti nella cittadella, che sembrano indicare che il resto della cittadella sia stato lasciato vacante, mi aveva lasciato perplesso fin da allora."

    Iniziato nel XIV secolo a.C., il progetto di drenaggio di Kopais è stato uno sforzo di ingegneria su larga scala di proporzioni enormi, che ha trasformato il bacino di Kopais in quello che divenne la pianura più fertile della Grecia continentale. Gli antichi ingegneri hanno bonificato la palude attraverso un sistema di controllo di drenaggio complesso, dirottando sei fiumi e torrenti del bacino in due enormi canali che convergevano sul bordo nord-orientale del bacino di Kopais. I canali sono stati affiancati da massicci argini rinforzati in alcuni punti con doppi rivestimenti ciclopici che hanno sostenuto le strade e sono stati forniti con drenaggi sotterranei e canali che dirigevano l'acqua in eccesso in polder artificiali, cavità naturali e doline, o alla baia di Larymna. Gli archeologi stimano che sono stati movimentati fino a 2.000.000 di metri cubi di terra per costruire dighe e argini lungo il perimetro del bacino, con più di 250.000 metri cubi di pietra utilizzati per approntare gli argini.

    Pensato per essere il centro amministrativo per questo sistema espansivo, la cittadella di Glas era protetta da un massiccio muro ciclopico dello spessore di circa 5,50-5,80 metri, che corre lungo il bordo della piattaforma in vetta all'affioramento naturale e definiva il perimetro della cittadella per circa 3 km, con quattro porte e un gruppo di tre recinti centrali adiacenti. Ma, ha detto Maggidis, "la cittadella di Glas presentava la struttura di un forte con certe peculiarità territoriali: solo un terzo o meno della superficie totale della cittadella (20 ettari) sembrava essere occupato da vari edifici e strutture (edifici amministrativi, impianti di stoccaggio, laboratori, cucine, abitazioni di operai), nessun altro resto era stato localizzato finora dalle ricognizioni di superficie altrove nella cittadella. "Lo spazio al di fuori delle strutture centrali, in altre parole, sembrava essere privo di costruzioni. Perché?


    Le antiche strutture delle porte di Glas. Courtesy Christofilis Maggidis



    Piano generale del sito Glas. Nota: le lacune in cui nessuna struttura è visibile.
    Courtesy Christofilis Maggidis



    Strutture scavate nella zona A (vedere il piano grande sopra questa immagine) sul sito. Courtesy Christofilis Maggidis


    Per Maggidis, questa assenza è veramente strana.

    "Ero convinto che Glas fosse molto più di un forte da cui si amministravano le opere di bonifica del lago Kopais e la produzione agricola locale, e ho deciso di indagare ulteriormente il sito."

    A partire dal 2010, Maggidis e colleghi hanno condotto un'indagine geofisica sistematica della cittadella con georadar (GPR), un gradiometro Fluxgate, la resistività elettrica, e immagini satellitari. Il team si è concentrato principalmente su aree inesplorate e alcuni settori già scavati.

    I risultati sono stati illuminanti.

    "La cittadella di Glas non è stato lasciato priva di edifici al di fuori delle strutture centrali, dopo tutto, ma a quanto pare era coperta con molti edifici con usi diversi, di cui almeno cinque complessi grandi e ben costruiti, vasti quartieri residenziali e gruppi di edifici che si estendevano tra questi complessi, strutture semicircolari (silos?), una cisterna, scale, muri di sostegno e terrazze. Questa è l'immagine di una città fortificata."

    Maggidis e colleghi sono molto più vicini a scoprire le vere proporzioni e la complessità della cittadella. 

    "L'indagine sistematica della cittadella micenea di Glas proseguirà e si intensificherà nel prossimo decennio", dice Magiddis. "L'indagine geofisica si concentrerà sulla parte orientale (Settore IV) e la parte occidentale della cittadella (Settore V), mentre lo scavo sistematico si rivolgerà a selezionati complessi edilizi e strutture."

    Ulteriori informazioni sulle ricerche e gli scavi della cittadella di Glas sono disponibili presso il sito web del progetto. Un articolo dettagliato sulle scoperte sulla cittadella di Glas sarà pubblicato nel prossimo numero di settembre di Popular Archaeology Magazine.

    Articolo originale: Qui